»Tulsidas, il poeta, camminava assorto nei pensieri
in riva al Gange, in quel posto solitario, dove
bruciano i morti.
Vi trovò una donna, seduta ai piedi del cadavere
del suo defunto marito, vestita in un sontuoso
abito da sposa.
Non appena lo scorse si alzò, gli fece un inchino
e gli disse:
- Permettimi, Maestro, che con la tua
benedizione segua mio marito in paradiso.
- Perché tanta fretta, figlia mia? le chiese Tulsidas.
- Questa terra non è anche di Colui che ha creato
il paradiso?
- Non anelo il paradiso, disse la donna.
- Voglio soltanto mio marito.
Tulsidas sorrise e disse:
- Torna nella tua casa, figliola. Prima che il mese
finisca, troverai tuo marito.
La donna tornò a casa con una radiosa speranza.
Tulsidas veniva ogni giorno da lei e le dava da
meditare pesnieri sublimi, finché il suo cuore non
fu colmo fino all’orlo dell’amore di Dio.
Non appena finì il mese, vennero da lei i vicini
e le chiesero:
- Donna, hai trovato tuo marito?
La donna sorridendo disse:
- Sì.
Incuriositi domandarono:
- Dov’è?
- Il mio signore è nel mio cuore, un’unica cosa
con me, disse la donna.«
Rabindranath Tagore
ARITMIA CARDIACA
Divagazioni
Vi assicuro di non essere
pazza. Vedo tutto lucidamente e
con esattezza. Non voglio morire
di fame. I crampi allo stomaco, credo, non mi
uccideranno. Sono stata colpita da paralisi
già da giovane. Talvolta desidero diventare anche
cieca. Taluni sono
convinti che esistono
momenti di pazzia come d’altronde esistono
momenti di gioia.
No, davvero non sono
pazza. Ti assicuro
di sapere che cosa
faccio. Vorrei dirti una cosa. Voglio dirtela,
ma non so come. Non è semplice. Come
spiegarti
in maniera semplice? Voglio dirti quello che finora
non ti ho detto. Non so da dove
cominciare. Voglio che tu sappia. Di averti, per esempio,
mentito
di continuo. Non avevo il coraggio di dirti
la verità. Invento
storie, favole, parlo come tutto fosse
vero. Pensavo che alla gente puoi dire semplicemente
ciò che è vero, ciò che pensi di pensare. E che dopo
qualche istante tutto è bell’e finito. La lingua
inganna. Ci sono parole che
tralasci perché hai paura che vengano
dal tuo intimo. Non sai più che cosa è tuo e
che cosa non lo è.
ISTANTI
Passavano
i minuti. Passavano
le ore. Passavano i giorni e gli anni. I decenni.
Gii istanti sono ricordi. Vecchie e logore
fotografie. Non potevo evitarli.
Passavano i minuti, le ore, i giorni, gli anni. Rieccomi
in un cerchio senza uscita. Lui ha dimenticato
che cosa succederà? È avvenuto
come tutto il resto. Che viene e
va. Sono gli dei a scegliere
l’istante. Affinché si adempia il sacrificio
di conciliazione. Non poteva andare
né avanti né indietro, ha detto. Perfino gli uccelli
hanno preso il volo. La gente è sparita. È sparito
il sole. Lui ha aperto gli occhi e mi ha guardato.
Direttamente nel mio intimo. Non li ha chiusi
più.
NELLA MIA CASA
La tua
confessione è affare
tuo. Non m’interessa. Prego? Hai detto che è anche
tua? Sì, naturalmente è
tua. Diamine. Proprio per questo non m’interessa. Forse
dovrebbe? Tu, creati pure un altro
nido e adornalo con nuovi
desideri. Sì, certamente è
tua. Fa’ quello che ti
aggrada. Perché sei ancora
qui? È notte
piena, satura. È tenebrosa
l’oscurità. Le barriere al buio non danno la possibilità
di vedere. Ma è possibile percepirle. Ti catturano. Sei
prigioniero. Tendi una trappola. Cadi in trappola. È
troppo tardi. Il largo fiume
scorre. Fluisce rapido tra le sponde. E
sotto i ponti. Da qualche parte sembra
largo. Da un’altra basso. Altrove
profondo. Talvolta
si distendono sopra
le nebbioline. Per nascondere
i vortici. Con il ponentino sul fiume si è scatenata
una tempesta. Che ha raggiunto la mia casa. La mia
casa. Le nuvole vi si avventavano contro qua e
là. Là cigolava una porta sotto l’impeto di una forza
folle. Del vento soffocato. Il fragore si faceva sempre più
furioso. Attraverso le fessure irrompeva con l’acqua.
Come l’acqua. Non potevo fare altro che
tapparmi le orecchie e gli occhi. Le luci
si sono spente. Mi sono
sdraiata
sul letto coprendomi
la testa e la ragione. Pian piano è subentrato
un gran silenzio. Cercavo di afferrare ancora qualche voce,
qualche gemito. Il vento e i lamenti sono diventati
smorzamento. Non si sentiva più
il freddo. Niente più si muoveva. Movimento. L’acqua scorreva
nel canale. Le foglie si sono fermate là, dove l’acqua vorticante
le doveva lasciare. Sono riapparsi i viottoli. Il clamore ha
colmato di nuovo lo spazio.
CRAMPI
I crampi si susseguivano sempre
più spesso. I muscoli si stavano irrigidendo e
dalla faccia traspariva la sofferenza e la paura. Il respiro era
ineguale. In un angolino della bocca apparve la saliva
rossa come il sangue. Le pupille si dilatarono. I suoni e le parole
risuonavano
incomprensibili. I passanti ragionavano. Ecco un altro che
non lavora. Un barbone. Allora piegandosi in avanti
riuscì a balbettare: Sono ancora vivo. Signora, signore, non
mangio già da qualche settimana.
I VAMPIRI
Mi raccontava
con voce sommessa, di essersi
alzato all’improvviso tendendo inquieto l’orecchio.
Pervaso da presentimenti.
Incominciò con lo sguardo a frugare nel suo giardino
su e giù. Aveva sentito distintamente
lo scalpiccìo. I passi venivano da ogni parte,
i rametti calpestati crepitavano,
le gocce della pioggia piovevano cadendo
giù morbidamente; la sabbia scricchiolava
e si sentivano dei gemiti. Gli uccelli svolazzavano
nell’aria bagnata. Nell’erba pullulavano i vermi, i millepiedi, i bruchi,
le pulci e le formiche tendevano le loro antenne,
i musetti, i pungiglioni; li tendevano verso terra e in
aria. Anche quelle cieche fiutavano il sangue. Gli insetti
si misero ad arrampicarsi sulle mie gambe. Sentiva che
lo stavano ispezionando in cerca di posti appropriati
per morsi e punzecchiature. Dall’umida e fastidiosa nebbia
uscivano bestioline alate. Planavano sull’umida pelle limacciosa
e stridevano con voce roca. Più si nascondeva, più
ne venivano. Talune nemmeno vedeva, le sentiva,
le avvertiva. Talaltre tremavano febbrilmente, negli ultimi
sospiri
gli cadevano addosso. Ficcavano i loro pugnali nella rosea pelle
nella speranza di assorbire almeno una goccia
di sangue che renderà possibile la loro
sopravvivenza. Il caldo
e fresco sangue dell’impaurita vittima notturna diventava
sempre più freddo. Era
destinato che dovrà morire. Si spostò
avanti.
Ah, gli dissi, non raccontarmi
favole per la buona notte!
FECONDAZIONE
Le spade mi stanno morendo
nel vaso. Sono una maledetta
masochista. Le più belle sono
di colore scarlatto. Assomigliano al sangue
che si sta coagulando. Assomigliano al primo amore
che è simile a un’agonia. Quando aggiugi a loro il rosso scuro,
sembra che di nuovo, un po’ prima di morire, si accendano
di una luce nuova, specialmente se il sole
le illumina. Nel vaso protestano in un estremo grido e
invocano: amami, non
dimenticarmi: Noi siamo le spade, alte, snelle, nient’altro
che eleganza. Viviamo per poter
morire. Moriamo per rivivere domani in
un altro mondo. In una luce
nuova. In tinte
nuove. In mezzo c’era
la fecondazione.
Ah, le spade non stanno morendo, mi sono detta.
CORDE MUSICALI
Tu che concepisci poesie,
niente bambini. Tu
che sognerai l’immortalità. Offriti a qualcuno,
a qualcuno cerca il riso infantile. Non temere,
ci sono più corde musicali –
non solamente due. Talune
sono accordate, le altre
stonate – eppure suonano, anche
se talvolta feriscono
il cuore. Il tempo è impotente, quando il mio
si allatta con il tuo. Volevo
dirti solo
questo. Non andare via e
sdraiati accanto a me. .
LA PADRONA
Montami e diventa
il mio schiavo. Ti darò
un nome. È la fine
della tua vita errabonda.
Ti darò un nome.
Sto diventando la tua maestra,
torturatrice e
allieva. Ti darò
tutto. Riscaldati accanto
al mio caminetto. Ti darò
tutto. Rimírati nel mio
specchio. Vieni e rimani
qui. Respira il mio
respiro. Spingi la tua verga
nel mio profondo. Affinché
io sparga in te il mio sangue.
Attingilo nelle tue mani e abbandona
l’idea di una fuga. Grida, mormora,
taci. Per me è lo stesso. Non
ascoltare le storie di amori
infelici. Addorméntati. Non temere
che io tagli la tua gola,
tu mio schiavo. Ti darò un
nome. Così saprai chi sei. Sii felice,
ehi, tu mio
schiavo! Oggigiorno
i tempi
sono diversi. Oggigiorno sono io
il padrone.
IL FIUME
Non piove ogni notte
così. Il fiume non è mai
pieno. No. Ma non mi chiedo più
perché
trabocchi lo stesso oltre
l’orlo.
SCORPIONE FEMMINA
Divento pazza e folleggiante
quando mi sussurri
nell’orecchio. Maledetto
incantatore. Certe volte ho paura di te e
della tua sanguigna rugiada. Ti pungerò prima
ancora che tu possa provocarmi del male
avviluppandoti
nelle mie
gocce. T’inviterò nella mia conchiglia e questa
conchiglia ti rinchiuderà nel mio mondo. La mia
lingua ha sempre più
sete. Perciò ti
leccherò. Ti leccherò come
una ferita. Ti spremerò. Come una cagna
ti leccherò. Ti strizzerò. Ti torcerò come
uno scarabeo. Ti stritolerò.
Sfracellerò. All’interno della mia tenera
conchiglia ti annienterò. Diverrai
il mio
cadavere, polvere. Diverrai mia proprietà, mia
proprietà. Con le gambe ti spezzerò le ossa.
Tutte le ossa. Succhiandoti con la lingua tutta la linfa.
Ti suggerò fino all’ultima goccia. Come una divinità cinocefala.
Triturato diverrai polvere e condimento. Conserverò
il tuo cuore per l’ultimo
giorno. Per il giorno in cui deperirà e morirà anche
il mio. Ti consumerò come un pasto. Dalla tua polvere
creerò nuove
conchiglie.
IMPRONTE
Il vento intanto
persistente
continua
a soffiare e a cancellare
le impronte dei miei piedi
nella sabbia.
STUPRO
Qui, proprio
qui mi hanno steso a terra
e sverginato
imbrattandomi
di sangue. Dicendo che sono diventata
una donna. La mia vita
è sgocciolata con le lacrime
attraverso i miei
occhi. E i miei sogni
sono morti. Mi hanno
consumato. E gli dei, questi
diavoli, erano dalla loro
parte. La vita
è piena,
dicono. La vita è dolce,
dicono. Anche la carne è dolce,
dicono. Anche quelli che leccano
il sangue. Quando la vita
t’insanguina.
DOVE
Le mie parole scritte
se ne vanno. Io stessa non so
dove. Gridano, ma non so
a chi. Si abbandonano ai venti, ma io
ignoro dove sono diretti. Questi
venti. La gente
si è smarrita nella
folla.
SIMULTANEITÀ
Restiamo noi vecchie e
vecchi. Ci esponiamo agli ultimi raggi
del sole.
Disse soltanto:
Aspetto colui del quale
non conosco il nome