È ancora viva. Perché no? Da quella sera di febbraio mi dividono solo cinquanta giorni.
Mio fratello Estri è davanti alla nostra porta; la vecchia mi spinge per trascinarlo dentro ripetendo mio sole.
Resistendo ai baci materni lui ascolta i suoi rimproveri. L’inverno non è ancora finito, e mio fratello …? Come se fosse fuggito dalle riprese di un film su Robinson Crusoe, veste bermuda, gilet da pesca, stivali di tela, cappello panama, ed ha barba disordinata e coda di capelli lunghi.
L’anno scorso, sul primo canale della Rai, abbiamo visto l’assalto dei membri di quell’organizzazione ambientalista su una piattaforma petrolifera, in qualche parte nell’Atlantico.
«Guarda chi è stato ad appendere lo striscione Non bruciate il nostro futuro! Mio figlio!», si arrabbiò il vecchio.
«Mio sole!», disse teneramente la vecchia.
Il vecchio si infuocò.
«Abbiamo dato addio alla Bosnia, non solo per la guerra ma anche per il futuro del tuo sole, e lavoriamo come non avremmo mai sognato. Abbiamo guadagnato con il sangue questo appartamento a Udine ed entrambi i figli si sono laureati! E lui? Vuole rovesciare il mondo!»
Aspettava supporto da me, lo sapevo, ma io rimasi in silenzio.
Solo perché mio fratello ha il coraggio di arrampicarsi dal gommone a quella piattaforma, e io nemmeno quello di fare le valigie e unirmi alla mia Sarah a Madrid?
Ma questo ormai è passato, da più di un anno non posso dire la mia Sarah.
«Forse hai ragione», riprese la vecchia con un sospiro, «ma le loro azioni non sono violente...»
Estremista, abbreviato Estri: è il soprannome che gli ha dato il vecchio, dopo un lungo dibattito in casa sul futuro del pianeta. A cena l’argomento si è ‘schiantato’ sul tavolo come un asteroide.
«Non so nemmeno se domani troverò un lucchetto al cancello della fabbrica, e mio figlio è preoccupato per il futuro del pianeta!», gemette il vecchio. «Queste non sono domande per il cervello dell’uomo comune, normale e buono!»
Io che feci? Balbettai qualcosa sulla mia fede nel progresso. Perché sono un ingegnere. Disoccupato, ma sempre un ingegnere.
«Ragionate come pecore...», borbottò allora Estri.
Il vecchio, offeso, si alzò dal tavolo.
«Sei un… un estremista! È il tuo vero nome!»
La vecchia lo rimproverò severamente. «Lui ha già un vero nome, meraviglioso!»
Ed io? Ho taciuto e pensato a lungo.
«Cos’è successo al vecchio?» domandò Estri. «Ha già dimenticato quanta parte dei ‘normali’ e dei ‘buoni’ abbracciò il nazionalismo e le divisioni etniche là, senza pensare alle conseguenze? Quante persone ‘normali’ e ‘buone’ al mondo non pensano nemmeno all’insostenibilità di questo modello di sviluppo?»
Estri parlò senza fervore, come se chiedesse notizie sul tempo.
La vecchia sospirò profondamente.
Da quel giorno sono trascorsi tre anni.
Ammiccando, Estri mi diede un cinque e si liberò del suo enorme zaino.
«Guarda chi c’è qui!», disse.
Strappato dal suo pisolino da un tonfo televisivo di paglia vuota, il vecchio si alzò in piedi come un giovanotto...
Beh, il padre è il padre. Anche lui ottenne da Estri un cinque.
Bene, anche il figlio è un figlio.
La vecchia girava per la cucina come se fosse stata una quaglia. Si chiese ad alta voce cosa avrebbe preferito mangiare il suo sole.
«Ho mangiato qualcosa da lei…»
Lei è Gaia.
Secondo il vecchio, lei aveva piantato in Estri quelle idee pazze di cambiare il mondo. Lei era il motivo di questa visita improvvisa.
Misterioso ma per breve tempo: tutto poi divenne più chiaro, non le telefonò nemmeno. Neanche lei telefonò a lui.
Quindi, crack. Si erano lasciati.
Naturalmente la data del suo ritorno nei Paesi Bassi non era un mistero. Ma dopo tre giorni tutti i voli da Ronchi furono cancellati. Quindi un virus, come un gigantesco tronco, ha impedito a mio fratello di tornare a lavorare in quell’organizzazione ambientalista. Ha provato invano l’autostop. È tornato a casa deluso.
E così, è il cinquantesimo giorno che passiamo assieme nell’appartamento.
È mattina. Fuori c’è la primavera.
«Siamo in prigione», sentenziò il vecchio.
«Ora sappiamo come si sentono i canarini...», aggiunse la vecchia.
«In prigione? Dovremmo essere in una cella di riflessioni!», ribatté Estri al padre e alla madre. «Sapete come vivono i bambini in Siria e in Libia, eh? C’è acqua, elettricità e gas in questa vostra ‘prigione’...»
La vecchia si scusò, non aveva dimenticato la guerra.
Lei odia la guerra, le odia tutte e dal profondo dell’anima.
Comunque, per la sua testa frulla il pensiero di essere come dei canarini. Né lei né il marito vanno al lavoro.
A volte bisbigliano, preoccupati per quanto tempo durerà il pagamento della cassa integrazione. Nessuna cassa è un pozzo magico, senza fondo!
Per quanto riguarda me, non lavoravo nemmeno (,) prima del virus.
La priorità è l’approvvigionamento di generi alimentari...
È stato il mio turno, ieri. Sono rimasto in fila davanti a un negozio di alimentari per oltre un’ora e mezza.
La fila sembra un millepiedi moltiplicato.
In cosa ci siamo trasformati, tutti? In una serie di maschere protettive, che si mantengono a distanza.
Lo dissi ad Estri.
«Ora tutti hanno una maschera in più sulla faccia!», commentò freddamente.
Non lo capii. È sempre così misterioso … Non appena apre la bocca, non ci si può aspettare banalità.
«Queste creature benedette pensano al giorno dopo il virus?», chiese.
Sì, lui è impossibile.
La questione da lui posta neppure mi era venuta in mente.
A casa...
Per lo più io sono al computer, guardo film, gioco a scacchi. Non sono più arrabbiato per le continue sconfitte con la macchina. È verissimo, pensa meglio di me.
Estri si è fissato sui libri. Sappiamo anche su quali, quelli sulla salute del pianeta. A volte fa lunghe conversazioni telefoniche con i suoi collaboratori dell’organizzazione.
Il vecchio si lamenta perché non abbiamo un cane. Sostiene che lo sguardo sul mondo si è ridotto al nostro balcone che si affaccia sull’edificio dall’altra parte della strada. Lo osserva attraverso il fumo di numerose sigarette.
La vecchia ritiene che ci sia del bene in ogni male.
«In quale caso il mio sole rimarrebbe con noi per così tanto tempo?»
«Bene nel male?», domanda il vecchio. «Beh, forse hai ragione tu, chissà da quanto tempo non mangiavo pane fatto in casa!»
Trascorre i suoi giorni con la TV, ma non sono sicuro che guardi né gli spettacoli né le notizie.
«All’improvviso i migranti se ne sono andati!» esclama ironicamente Estri. «Adesso è il virus, di moda!»
E il vecchio? Non pronuncia che poche parole; lui che fino a ieri, da buon italiano di nuova data, brontolava sempre.
«Tutti migranti ammucchiati in Italia!», diceva.
Sì, è gran parte del tempo silenzioso.
«Il virus ama i tipi più anziani...», continua ora a dire, anche stamattina.
La vecchia, colpita dal ‘virus’ della macchina da cucire, gli risponde in tono disilluso.
«È meglio che ‘viaggino’ di là i vecchi, piuttosto che i bambini... Al virus piacciono più i vecchi … E la guerra ama i giovani... Da noi in Bosnia chi erano di più fra i caduti? I giovani! E per nulla!»
Questa mattina Estri ha portato fuori i sacchetti dell’immondizia.
«Scendete al primo piano, appartamento numero cinque...», disse quando rientrò. «Accanto al campanello c’è un disegno con una scritta: un ragazzo tiene una fionda appuntita contro una porta... “ Virus, provaci!”»
Le sue parole hanno intenerito la vecchia. Ricordò allora a noi che Estri, quando ci fu una tempesta di fuoco intorno alla nostra città in Bosnia, fece una fionda e lasciò la porta socchiusa.
«Guerra, se ci provi ti romperò il muso!», aveva urlato.
Non so se sul volto del vecchio notai allora un riflesso di sole o, forse, una lacrima. Non ricordo l’episodio raccontato, anche se sono più grande di mio fratello, allora ragazzino di cinque anni.
Estri guardò la madre con gratitudine, come se avesse ricevuto il dono più bello.
«Ingegnere, portaci tre birre!», esclamò di buon umore.
«Anche per me…», chiese la vecchia.
Lei, che non beve affatto alcoolici!
Le quattro pareti del soggiorno incorniciano la vignetta mattutina con quattro sorrisi.