TEKTONIKA METAMORFOZE / TETTONICA DELLA METAMORFOSI
A UN BAMBINO Dl CINQUE ANNI I
il bambino che la nebbia palpeggia,
mentre sta fuori all’aperto in pigiama,
non ha nemmeno dove andare, né da dove venire,
non ha niente da fare, né la possibilità di un futuro.
le vie finiscono in tutti i sensi, più o meno lunghe,
per le quali ci s’inoltra baldanzosi, in altre si sorride
con virile serietà, nelle terze qualche misero bracciante
spinge il carretto coi fagioli su per l’erta verso la chiesa.
il mondo non si cura di nessuno. sia egli umile? o indignato?
o soltanto un bambino taciturno che cerca di mettercela tutta,
che si guarda attomo ed è tutt’occhi
e vede che fuori non c’è ritorno, che il mondo
non ripaga la sua singolarità, la sua autenticità, la sua
franchezza, che è sempre solo fuori all’aperto nella nebbia.
1988
* * *
cinco de la mañana
ciudad mexico. draghi piumati
aprono le persiane. stanco come un mattone.
aprite, aprite! nella notte splendente, vermi!
notte fulgida, oscillante specchio di una fontana.
sere afose gemono nel cielo. mexico schiude le costole, chica.
monti pietrosi, spogli. giungla? ciglione?
onde rocciose, miseria? sguardo attraverso l’ossidiana?
avvicinati, pantera, fatti largo tra i cespugli, spaventa,
ricopri il soffitto con scaglie lampeggianti!
spruzza, spruzza le verdi stelle, tre gradi Kelvin sopra zero
a terra! staccami il collo con un morso. questo vecchio tronco. ah, Novgorod.
lleve. sbatte la lamiera sotto la finestra, sciaqua il fango.
sei tornato, porgetevi le mani! si annusano, il tasso, il coyote,
il serpente piumato, un uccello velenoso? un grasso verme rode una mela soda.
cinco de la mañana. piove. nell’immensa notte tropicale.
I CERCATORI D’ORO
Vagavamo tra i cactus.
Gli avvoltoi ci dilaniavano, i serbi e gli sloveni ci assalivano.
Acqua da nessuna parte.
II cielo era nuvoloso, nevicava.
Le donne e i critici ci hanno abbandonato.
Non avevamo la più pallida idea di geologia e montanistica.
Siamo partiti per Clondike, viziati, borghesi,
provinciali.
Tutti i feudi ormai erano spartiti
tra Morgan Credentials, Nippon Steel e Hawking International inc., de Norte America.
Conoscevamo parzialmente la storia sulla crudeltà dei cinghiali,
abbiamo letto superficialmente le leggende sugli alchimisti,
ci siamo portati dietro solo le pasticche per la dissenteria.
Eravamo presuntuosi, laureati.
Frugavamo gelide praterie m cerca di oro
(senza cercarlo mai veramente).
Scavavamo sordide camere d’albergo, cabañas,
piantagioni di bambù, fiumi in piena, cimiteri, immondezzai,
i wadi asciutti e raggelati.
Trovando e non trovando.
Dalle nostre orecchie sfolgorano umide ombre verdi.
Parliamo come serpenti a sonagli.
Vaghiamo tra i cactus.
Gli avvoltoi ci dilaniano, i serbi e gli sloveni ci assaltano.
Non c’è acqua.
Abbiamo la diarrea.
La neve fiocca,
fiocca la neve su Clondike.
* * *
Nella stanza accanto vive completamente sola una giovane tedesca. Qualcuno chissà quando dalla parete tra le due camere ha cavato un nocchio, così che adesso vedo attraverso il buco i suoi capelli e un lembo di cuscino. E qua ormai da quattro giomi. Tutto il tempo sola. La incontro per strada, nel videoclub, sulla spiaggia Atitlana. Contempla assorta i vulcani e sguazza scalza in riva al lago. Di sera stenta ad addormentarsi, sdraiata sul letto probabilmente legge, non riesco a immaginare. Gira da sola per il Guatemala, cena da sola, da sola dorme, da sola fa la doccia e sola soletta gironzola da una bancarella all’altra, tasta gli scialli, le giacche, le gonne, le piccole rane di giada. Non parla con nessuno. Chissa com’é
la sua storia. Inaccessibile e azzurrognola come i vulcani lontani dall’altra parte del lago. Come Paolo, il subacqueo scomparso di Mersebe. Guarda in silenzio oltre l’acqua. In aria volano le anatre, i corvi, i pellicani. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Incantevolmente triste.
Dalla raccolta Luske in perje (Scaglie e piume), 1993
IL CACCIATORE Dl CERVI
Sulle vie cittadine c’è una gran ressa di cervi.
Invisibili, verdi come sgargianti ballerine,
cornute e silenziose, nei trasparenti tutù scivolano
attraverso il tempo con le code tronche, e spariscono.
Talvolta, prima ancora che qualcuno sbatta la porta,
prima ancora che deformi la loro testa, li scaraventi contro
il muro o li travolga con l’auto, li scorge per un istante. I loro
occhi languidi, scuri e umidi. Scintillano. Cupole di stelle,
cupole di boschi tenebrosi, diafane cupole di carne, o la sorda
muraglia cinese che attraverso il vetro dell’acquario s’inabissa
nell’immenso silenzio - chissà perché è cosi.
II cacciatore di cervi, il trapper dalle orecchie sbrindellate sulle tracce
di questi verdi uccelli della foresta invisibile. Quando lo lecca
un cervo, anche lui butta via le foglie e sparisce con lui.
1988
POETA
Poeta. Tra le colonne della presenza
da ogni dove sfolgora lo spirito libero.
Finalmente avrà la parola la limonata
esotica, irraggiungibile silenzio del Nanos*.
La rumorosa atmosfera sopra Berlino e
la mediocreggiante ignoranza che così mi
palesa agli occhi del critico. Sono nudo. II dio
sudamericano si dondola nella pioggia solare / nell’atonalità dell’esametro.
Puebla. Tra gli antiquati palacios barocchi
nella canicola pomeridiana sonnecchio a Alameida.
II caldo fluisce da ogni parte. Tra tutte le colonne
della presenza mi lambisce il sommesso e risaputo dialogo.
* Monte in Slovenia, nelle vicinanze di Postojna.
APOLLO
L’amore è una delle divinità dell’esistenza
Si fonde con il presente, con l’esistente,
con l’effimero. Le parole hanno la forza
di capovolgere il corpo e di metterlo in mostra.
Vengono gli avvoltoi e il gelo stellare scende sulla parete abbandonata. Nel nulla c’è più del silenzio,
c’è quel nemmeno-silenzio. Ma non resta niente.
Ciò che in me tace, perché non c’è niente da dire, eppure
come un sordo innamoramento che blatera sciocchezze,
così anche le frasi sgorgano dall’acuta visione delle cose
estreme. «Ho coperto le mie spalle con una mantellina
scarlatta e i biondi riccioli cadono sulla mia schiena.»
II nome forse non ha più molto tempo. Ma l’entusiasmo
inturgidisce per sempre le mie cosce d’ispirata perseveranza.
UN ANGELO ESTRANEO
Fatta di grida e sussurri ti sei insinuata nel mio corpo.
Le tue braccia sono le mie braccia, le tue labbra
sono le mie labbra. Quando vado per la Maximilian-
strasse, i tuoi capelli d’oro cadono sulle mie spalle.
Ti sei stabilita nella casa del mio cuore.Attraverso
le finestre che danno sul giardino, ti riversi tra
gli angeli assenti. O meglio ancora: tra gli angeli
dallo sguardo assente. Come il Virgilio di Dante
li rasento anch’io con un lembo del mio mantello e
poi mi presento davanti al Giudice: È un dio bestiale,
mi afferra per lo stomaco, mi nutre di alienazione
e d’angoscia. Io stesso sono il Giudice. Mi sono stabilito
nella mia assenza, ho colmato il Nulla con il Nulla, ma il pastore
del silenzio sfiora con la lingua le tue orecchie e vibra nel tuo cuore.
QUA NON CI SONO GIGANTI
Qua non ci sono giganti. Solo la landa.
Cash and carry. E silenzio, da cui niente
riesce ad esprimersi. Non è un circo o uno
spettacolo teatrale, qua non strisciamo nell’erba
per apparire o ottenere successo, per
forme di piacere. Gli unici occhi che guardano
oltre il paesaggio scosceso, sono gli occhi di
un angelo solitario. Uccello votato all’anonimia.
C’inoltriamo in una miniera infruttuosa, soprappensiero
e senza parole illuminanti, con tutto il passato.
Lontani dal mondo, a Vienna, sul Carso, esploriamo
le sorde pietre intorno a noi. Ogni tanto
il nostro sguardo si leva sui boschi, oltre le rocce nude
sopra la valle, insegue una cornacchia che gracchia nel cielo
Dalla raccolta Ogledala v času vojne (Specchi in tempo di guerra), 1994
POMERIGGIO A BOLZANO
Qua una volta cantava
von der Vogelweide*. Tutt’intomo
i pendii sono ricoperti di viti. Dal sud
il vento porta il profumo di gelsomino,
nella valle da lontano il sussurrio del mare.
II mare che è storia, il mare. Dietro la traccia dilavata non resta niente di distinto.
Completamente fuori dal racconto o dalla memoria
rotola sulla riva ghiaiosa, tesa
dall’orizzonte tondeggiante, una densa
e immediata sostanza, l’acqua rigonfia.
Non so che cosa cantasse von der Vogelweide.
So invece chi cantava e perché. So anche
benissimo che cosa ha sottaciuto e quale
donna amava con passione, perdutamente.
* Walther von der Vogelweide, noto minnesanger tedesco medievale
LI PO*
In una città straniera incontrai colui
che celava il proprio viso (lui che
ascoltava con sguardo sereno gli usignoli).
Lo sai chi sono io? mi chiese.
Sorrisi voltandomi in giro.
Nessuno. Solo i bambini scorrazzavano
nella piazzetta fuori mano sotto il lampione,
una vecchia signora zitta si affrettava verso casa.
«Conosco molti dei tuoi nomi, ma
oggi guardo con i tuoi occhi e
ragiono con il tuo cuore.»
Dov’ero e chi pronunciò queste parole
che non uscirono dalla mia bocca? E neanche
per un istante rallentai il passo ne guardai
indietro sorridendo la via tenebrosa.
*Li Po o Li T’ai-po, noto poeta cinese (701-762)
VIRUS
Esiste qualcuno che è svelto,
che non esita, che non aspetta.
Invisibile. Prima ancora di stendere
la mano, dall’ippocastano cade una foglia.
Chi è questo tipo lesto? E dove si trova?
Vestito di sloveno.
Ma adesso conta il denaro
come un vecchio avido e sdentato.
Penetra nei volti come in diverse lingue
o nei versi. Non apre mai gli occhi, non chiude
mai la bocca. Vede o non vede, chi lo sa?
Con un’unica parola appare e scompare
a un tempo come qualche creatore di dei.
Ha aggiunto inoltre: «È domenica e dico
fesserie.» Trasmigra attraverso gli occhi.
IL TRAM CHIAMATO GRINZING
Durante la prima guerra fu ucciso Conrad.
Di guerre ne ho vissute due.
Ho avuto molti uomini. Così
correvano i tempi. Mi ricordo benissimo di Conrad.
Ho martoriato a lungo il cuore
di un famoso poeta. Sorvoliamo i nomi!
E adesso non riesco a vedere neanche
il maledetto ombrello
che ho posato a terra
davanti a me sul tram.
Proprio adesso ci siamo fermati
alla Siveringstrasse.
La prossima - ultima - fermata è la mia.
LI PO
(Dal ciclo Soliloqui con l’inesistente dio)
Oggi sono tu,
oggi singhiozzo con la tua linfa.
Oggi sono tu.
Mi sono fermato con la penna sulla carta.
Cielo silente sopra la città.
Oggi sono tu.
Me ne sto zitto nel buio più profondo.
La notte tace nella poderosa pace.
Oggi sono tu.
La luna in alto nel cielo.
La cristallina cresta montuosa si staglia netta al chiaro di luna.
Oggi sono tu.
Oggi sono infinitamente vicino.
Oggi io sono tu.
Oggi io sono una montagna e io la luna.
Oggi io sono questo tuo eterno tu.
Silenzio nell’ippocastano sotto la finestra.
Una montagna in risalto nell’oceano del chiaro di luna.
Oggi sono alla fine.
LA CORSA DELLA TARTARUGA
II maratoneta corre tutta la vita.
Talvolta vince qualche singola tappa, ma nella
maggioranza dei casi perde. Comunque corre
inarrestabilmente verso il traguardo.
Guarda molti concorrenti di dietro.
O perfino riesce solo a sentire dei loro
fantastici successi. Con ritmo accanito e
silenzioso continua a correre.
Sempre al limite delle forze.
II giorno ha esaurito la sua luce,
la persistente volontà beve le fitte tenebre,
tende nella sorda oscurità la radice dell’abnegazione,
su una traccia silenziosa, in coda a una tacita scintilla,
con voce sommessa che lo sorpassa e guida
corre verso la morte.
L’IMPORTANTE È CHE Cl COMPRENDIAMO
Oggi nella mia solitudine discorro
con l’assente che attraverso me
ascolta attentamente
scivolare l’amore.
Godiamo tutti e tre,
o pensiero, intreccio d’occhi!
Chi sa ancora
che qua il mare una volta ha inondato le orme?
Nonostante il fatto che tu,
si, proprio tu,
cerchi proprio adesso di farti largo sull’animata spiaggia.
Forse a stento, oltre brandelli di pensiero.
Ma forse ti morde una serpe con l’acqua verde.
E ancora e ancora. Ed ora nuovamente.
Ma poi, anche se le lacerazioni sono maggiori, certamente...
TETTONICA DELLA METAMORFOSI
Ritmo quasi rituale. Uno
dei misteri che evocano
1’inesistente. Soggiogati
da chi sta qua e là nessuno.
Eppure qualcuno sta tornando con
gli occhi pesti, col freddo nelle ossa
come un fiume che dal sottosuolo sfocia
in un acquitrino. Solo il ricordo è assente.
E la scia nella luce perde
i suoi contorni. Più o meno come cresce
senza ragione e ordine nell’altro mondo
il fiore di un susino. Fragranza di fieno.
E per un attimo sveglia il compagno di viaggio
sulla stessa carreggiata. Resta l’immagine.
E l’altro, già dietro l’angolo, ormai irraggiungibile.
QUANDO SIAMO TU ED IO
Quando siamo tu ed io come
ci conosciamo ogni giorno facendo
compere al supermercato. Oppure
per strada mentre sorpassiamo un camion.
Allora siamo diversi.
Abbiamo trapiantato il coriandolo,
i ciclamini e le fucsie da sotto il tamarisco,
l’impercettibile tremolio del larice e il viottolo
lungo il quale oscillano
le cicorie. II fresco dell’angusta valle e
i penetranti gridi degli uccelli.
Silenzio. Nella solitudine del prato incolto,
sul versante inselvatichito e lussureggiante
una luce intensa.
Quando rientriamo su comuni lettere alfabetiche.
LORO?
Loro? Loro non parlano. Loro sanno.
Rincalzano le lettere alfabetiche e dalle parole
spremono il vino. Loro sanno. Solo a noi, uomini,
è concesso che tra le lettere, con entusiasmo
controllato, soltanto intuiamo i piaceri più
esposti. Al contatto il sasso
si trasfigura in gabbiano, ma le altitudini
destate dai richiami si levano solo
dal fondo dei cuori più sanguinanti - i nostri.
Di questi cuori terrestri che trafitti
dal più profondo universo offrono
goffe figure agli dei taciturni
in audace amore.
Quando sulla porta appendiamo
il cappello, allora oltre il desiderio
si spandono zampilli terrestri d’indicibile
immanenza. Parole della nostra sollecitudine.
Dalla raccolte Klesani kamni (Pietre scolpite), 1995
DAŠA*
Qua, sotto la montagna dei poeti morti,
dove le pizie inspiravano gli ambigui
oracoli da una crepa nel terreno,
ubriaco di vino rosso di Delfi,
questo massiccio e splendente oro,
nella taverna sotto il famoso antro,
in un gruppo danzante di donne passionali
per finta, e, la lontananza, la distanza, esultante
fra le braccia di afrodite mi metto a gridare
verso il cielo. ti amo! io, essere indegno,
e tu, dea, che danzi in me, fusi in un’ unica
persona, asse dell’universo? non ho alcuna
cognizione dei principi di biologia. me ne infischio!
siamo una scintilla palpitante. che pulsa con lo stesso cuore.
*Nome di donna. Si pronuncia Dascia.
SALISBURGO
I
siedo sotto un castagno,
bevo birra,
la gente fa ressa in birreria.
vivo la mia vita - in diretta.
sono un poeta europeo.
un uomo conservatore ed autonomo.
felicemente innamorato, ma adesso
essendo separati, mi rode come un fallimento.
in alto - nuvole grigie,
colombi tra i tavoli, dappertutto.
cos’è - tutto sommato - la vita?
come se non ci fossi mai veramente dentro.
c’è una strana pace sotto i castagni.
con sguardo vacuo fisso l’aria vacua, a dispetto
di un uccello che fa i suoi bisogni sul tavolo, non
mi muovo - e penso solo a te, dolce grappolo d’uva.
II
costoro che qui accanto mangiano l’insalata,
i turisti, nella buona e vecchia mitteleuropa.
e sbirciano timidamente e di sottecchi
mentre sto scrivendo, chissà cosa pensano.
non sanno di sedere dietro il tavolo con mozart.
che tira il moccio, si soffia il naso, beve birra,
pensa a te, regina della gioia e dell’inquietudine.
rintoccando secondo un antiquato spartito di poesia
come una campana rotta. defalco le ore
e i secondi, con un sorrisino triste
negli occhi, un clochard e sua maestà,
anonimo e nella sua piccolezza niente meno che dio.
come farò a resistere, ranocchietta dai capelli d’oro?
squarciato come la nuvola sopra la città,
gradito ospite nel mondo e a casa un estraneo,
amante delle lettere e di versi dal gusto di gelato!
ehi, sconosciuti in europa.
quando v’ingozzate di patate condite con
l’aceto e la cipolla, e nel bicchiere vuoto un dito
di schiuma che oscilla al ritmo del linguaggio
sotto i castagni in fiore. quando moccicoso grido
senza voce nell’aria disperata: non ne posso più!
mi manchi! tesoro, fata del tormento,
forza terribile, cocente, inebriante nel mio cuore.
AGUA AZUL
davanti alla casa una tigre sdraiata. in agguato
con gli occhi aperti. non muove un muscolo.
mentre le mosche vorticano nei cespugli.
giace immobile all’ombra sotto le palme.
aspetta paziente come un saggio
dall’animo soddisfatto. è un maschio vegeto.
sente esattamente come dalla foresta si
avvicina con passi felpati la sua dolce gatta.
insieme giocheranno, si graffieranno e
morderanno, strilleranno, ridiranno, si strusceranno
e si ameranno con frenesia, finché non crolleranno
sul muschio sotto le liane, avvoltolati in un gomitolo,
e ancora ebbri di voluttà. e con il batticuore, si accasceranno
esausti e appagati nel sonno, nell’essere profondo.
TRISTANO E ISOTTA
il tempio della storia. un dettaglio insignificante
fraziona la meraviglia in concetti.
lungo il ricordo. rivolto verso il futuro
sono un mendicante. e qua tutto finisce.
non sono affatto più inquieto. né più disperato.
che le cose vadano come sono. di continue
grevi di errori. per questo butto via
tutto il tempo, l’importante è che ami.
I gabbiani sono nunzi di terraferma. l’oceano è
senza direzioni. su noi due cadono
le rose. almeno sembrano rose.
siamo separati. eppure insieme. pensiamo, soffriamo.
così finché ci sono il sole e la luna. e il tempo un giardino,
in cui l’amore in un intricato rovo stormisce cremisi.
PARTENZA
tu che hai fuso la tua anima con la mia. ti sei
inoltrata nel nebbioso mattino di istanbul.
ma poco prima giacevi accanto a me.
poco prima ci scambiavamo la sigaretta.
poco prima hai piegato la mia maglietta.
mi hai baciato assonnata nell’ascensore.
con cautela. truccata di fresco, ed ora già
fili attraverso istanbul che si sta destando.
i camion delle consegne manovrano sotto la finestra.
nel cielo stridono i gabbiani e sopra i tetti dolcemente
si colma il giorno. sotto nella città improvviso fracasso.
stanno inchiodando le colonne del nuovo ponte nel golfo.
siamo due fiumi. scorrevamo insieme tra i ciottoli,
adesso fusi in uno corriamo ognuno per conto proprio.
Dalla raccolta Razglednice za Darjo (Cartoline per Darja), 1996