La strada è lunga, una buona parte è già stata percorsa, è ormai alle mie spalle, davanti a me si snoda ancora una via tortuosa che mi porta innanzi. Annoto pensieri ed avvenimenti, poiché voglio capire ciò che è stato, ciò che ho lasciato dietro di me, dove mi trovo ora e dove dovrei andare.
«La mente umana riesce ad accettare qualsiasi limite e ciò in qualsiasi luogo.» È stato sempre così! Fin dall’infanzia. La mamma infieriva per casa urlando cosa mai, per amor di Dio, avrebbero detto i vicini! Ascoltavo ciò che avrebbero detto della mia pettinatura, dei miei vestiti e dei miei amici. Chi mai vorrà sposarti? Nessuno! Urlava furibonda, se non avevo ancora riordinato la mia camera o se non avevo ancora lavato le stoviglie. Chi mai ti vorrà? continuava a ripetere, non rendendosi conto che con quelle parole aveva già determinato il mio destino. Chi mi aveva chiesto se volessi sposarmi, se veramente lo desiderassi? Mi sono mai posta io stessa questa domanda? No! In famiglia ci si aspettava che facessi così, era sottinteso che avrei scelto un buon marito. Ed effettivamente mi sono sposata giovane, sono diventata una giovane madre, come se avessi voluto passare da un giogo ad un altro. E di nuovo la famiglia si aspettava che sarei stata una moglie paziente, piena di abnegazione e ancor di più che sarei stata una madre votata al sacrificio. Cosa infatti avrebbe detto la gente se così non fosse stato? Se l’atmosfera a casa mia si surriscaldava, se i rapporti si incrinavano, sentivo dire: Abbi pazienza, vedrai che andrà meglio! Sopporta, sopporta, poiché altrimenti chissà cosa dirà la gente... E si tirava avanti, si tirava avanti la baracca, naturalmente
nella direzione opposta a quella che io desideravo, in contrasto con i miei sogni e con la mia visione
interiore della vita e della felicità. E venne il giorno in cui volli farla finita. Ero seduta sul davanzale, con l’intenzione di raccogliere le mie forze per scivolare giù, nel vuoto, perché quella vita non era più la mia... Apparteneva a tutti tranne che a me: ai miei vicini e ai miei parenti, ai conoscenti e agli estranei, a tutti tranne che a me. Mi avvolsero le tenebre, il buio oscurò la mia mente e i miei sentimenti a tal punto da farmi perdere la capacità di giudizio. Ero seduta sul davanzale, pronta a lasciarmi andare giù. Ma all’improvviso si udirono grida e un gran chiasso. Mi ripresi e scorsi in basso un gruppo di giovani spensierati che si davano allegramente spintoni e schiamazzavano nella notte come se avessero voluto esternare tutta la loro voglia di vivere e il loro entusiasmo. All’improvviso nella mia mente balenò un’idea: RENDITI INDIPENDENTE, FANCIULLA! Scesi dal davanzale e decisi che non sarei stata mai più sottomessa e ubbidiente.
«La farfalla non può dimostrare al bruco che anche lui potrebbe diventare farfalla, ma può destare in lui un tale desiderio: questo è possibile.» Quella sera decisi in modo irrevocabile di salvare la mia vita, di diventare caparbia e disobbediente; che i miei vicini e tutti gli altri dicessero pure quello che volevano, io alla fine sarei divenuta ciò che desideravo e volevo essere. Mi rifugiai nella mia tana e iniziai a leccarmi le ferite che si erano prodotte nel corso degli anni. Le leccai tutte ad una ad una, chiedendomi se la colpa di tutto non fosse soprattutto mia, avendo permesso che gli altri mi calpestassero, mi sottomettessero e mi ferissero di continuo, facendosene perfino un vanto. Promisi a me stessa che non avrei più tollerato le offese altrui. MAI PIÙ! E fra di me dissi: Che scorra via tutto ciò che si è accumulato negli anni e che l’esperienza del dolore sia per me un ammaestramento! C’era però un piccolo problema che mi rodeva l’anima: il problema della perdita. Si perde infatti con facilità solo trovando ed ecco qui il circolo vizioso che ci porta ad una via senza uscita: la perdita. Ed in tal caso non posso più legarmi a nessuno, non posso più innamorarmi di nessuno né permettergli di starmi accanto? E la vita senza amore, senza illusioni ha ancora un senso? Ed è possibile un amore senza dipendenza, senza possesso, un amore altruista che non rende schiavi, un amore libero? È possibile un amore che si dona senza chiedere ricompensa? È possibile, però senza attese. È una luce che ti inonda l’anima... Ti illumina come il primo sole mattutino che a mezzogiorno arde con tutta la sua forza e tutto il suo splendore.
«Il ribelle ci esorta ad avere il coraggio di assumerci la responsabilità di essere quello che siamo e di vivere secondo la nostra verità. » E la fanciulla, diventando autosufficiente, cessò di leccarsi le ferite e iniziò a vivere. La corda avvolta attorno al suo collo, con la pesante pietra, cominciò pian piano ad allentarsi e, senza che lei sapesse quando, ad un certo punto del suo cammino, la pietra scivolò a terra rotolando via lontano. Il mondo cominciò a rivelarsi ed a mostrarsi sotto un aspetto del tutto nuovo. Le tinte di tonalità grigia acquistarono lentamente vigore, i prati presero a verdeggiare, i boschi diventarono di un verde argenteo, le acque si misero ad ondeggiare. Il mondo incominciò ad esalare il profumo della vita, della libertà e della salvezza. Divenne forte e determinata nel suo intimo, simile ad una pietra che non si poteva gettare via e alla quale non si poteva dare un calcio senza ferirsi. Se ne rendeva conto, pur serbando intatta dentro di sé la sua vera essenza, fatta di tenerezza per la quale valeva la pena di vivere. La nascose tuttavia proprio in fondo in fondo all’anima, sotto un’apparenza diversa, così che era difficile da raggiungere e da riconoscere; alla fine si sentì AL SICURO. Conservò tutto ciò che era valido nelle profondità del suo essere, per il mondo esterno invece assunse la maschera dell’irremovibilità. La vita divenne più facile e più sopportabile: le cose intanto nascevano, si formavano e maturavano. Ora non era più docile e vulnerabile e gli altri presero a comportarsi con lei in modo differente. Erano più prudenti e non osavano più prendersi gioco di lei. Tutto ciò le fece piacere e divenne la sua sicurezza e la sua forza. Sì, ora dominava gli eventi. Non era più soltanto una giovane donna abbandonata e divorziata, che può essere girata e rigirata a piacere. Era ormai una donna risoluta, forte, pronta, se fosse stato necessario, ad estrarre la spada per difendere il suo focolare. ERA DIVENTATA UNA VERA COMBATTENTE!
«Quando l’amore non è solo desiderio di un’altra persona, quando l’amore non è solo bisogno, quando l’amore è condividere l’amore con un altro, quando l’amore non è un mendicante ma un sovrano, quando l’amore non chiede alcuna ricompensa, ma è pronto solo a dare... » Le faceva piacere soprattutto la sensazione di sicurezza, di fermezza e di forza interiore. Ma c’era qualcosa in lei che giaceva nascosta in fondo all’animo e che la inquietava di continuo: e dov’era la SPERANZA, dove il desiderio di felicità, e dove l’AMORE? Non doveva pensarci, se il suo pensiero si fosse soffermato su tutto ciò, avrebbe perso la battaglia. E veramente non pensò più a quello che provocava solo dolore alla sua anima e la rendeva vulnerabile. La sera però, quando tutto attorno a lei si quietava, quando la notte diventava più fonda e la gente spegneva le luci, lei si sedeva in poltrona e sotto una luce fioca ascoltava Mahler. Allora si affacciava alla sua mente una quantità di domande, di desideri, di sogni, che prendeva vita e consistenza e lei si rendeva conto che nella loro inattuabilità consisteva la perdita; ma quello era il sacrificio che doveva fare per diventare forte. Doveva sacrificare tutto ciò pur sapendo che era LA SOLA COSA per la quale VERAMENTE valesse la pena di vivere e la sola cosa che giustificasse la sua presenza sulla terra. Ora non c’erano più paure, tormenti e umiliazioni, c’era invece una diversa realtà, dura e spietata. Congiunse le mani, le congiunse istintivamente e chiese a LUI se veramente non ci fosse un’altra possibilità. Era veramente necessario sacrificare una parte di se stessi per raggiungere la propria affermazione? Non era forse troppo grande tale sacrificio?
«L’isolamento è assenza dell’altro. La solitudine è presenza di se stessi.» Me ne sto seduta nel bosco in riva ad un ruscello e penso alla mamma. Non è più qui, ma l’eco delle sue parole risuona nelle mie orecchie. Sul suo letto, prima di andarsene, mi confidò la sua ultima pena. Cosa poteva ancora preoccuparla al momento dell’addio da questo mondo? Aveva fatto tutto, aveva pulito tutto con gran cura, ma c’era ancora qualcosa... Mi chinai sopra la sua testa e le presi la mano. Con voce stanca e grave mi sussurrò: SEI SOLA, SEI SOLA ED IO ME NE STO ANDANDO! COSA NE SARÀ DI TE, BAMBINA MIA, SONO TANTO PREOCCUPATA! Per lei ero ancora una bambina e lo sarei stata anche quando avrei avuto ottant’anni. Poverina, non riusciva nemmeno a morire in pace, perché era in pena per me, perché temeva per la mia solitudine, aveva paura perché io sarei rimasta sola in questo mondo. Se avesse saputo a che prezzo mi ero guadagnata la mia SOLITUDINE, se avesse saputo che non ero disposta a sacrificarla mai e per nulla al mondo, sarebbe morta forse più facilmente. Non sapevo cosa risponderle per non inquietarla e ferirla. Dissi qualcosa di molto banale e non riesco a perdonarmelo. Le dissi: MAMMA, GUARDA CHE POSSO RISPOSARMI, SE VUOI... Posso sposarmi già domani e non sarò più sola... Le presi la mano stringendola forte forte e continuai a mentire, mentre lei mi fissava... MAMMA, DOPO TUTTO CE L’HO FATTA E SONO RIUSCITA A CONCLUDERE QUALCOSA! Che parole sciocche! Avrei potuto dirle quante cose avevo dovuto sacrificare: le mie speranze, la fede nella felicità e nell’amore, e i miei sogni... Mi sfuggì invece qualcosa di molto stupido, di molto insignificante.
«Al principio c’è la natura, alla fine c’è la natura, perché allora fare tanto chiasso in mezzo?» Siedo in mezzo a questo bosco dove tutto germoglia, dove il mio successo è del tutto senza importanza, dove dimorano il tremolìo delle foglie, la bellezza del ruscello e la speranza nella crescita... Ho espresso quella frase secondo il modello: PERCHÉ LEI SI ASPETTAVA QUESTO DA ME!
Ha veramente sperato questo o forse desiderava che almeno una volta io le dicessi ciò che realmente volevo, sentivo e pensavo? Ho tradito la sua fiducia anche in quell’ultima occasione in cui avrei potuto finalmente dire quello che pensavo e sentivo? Certo, ho avuto successo, ho avuto successo in altri modi: nell’accettare me stessa e il mondo, nell’accettare la libertà che è fatta anche di solitudine, che è talvolta bella, talvolta pesante e triste. E ci sono riuscita! Ho rinunciato ai sogni e ho trovato in me la pace. E questo è un grande successo, del quale mi rendo conto ora e per il quale ho dovuto lottare tutta la vita. Lei però non verrà mai a saperlo, poiché io non gliel’ho confidato. Ho sempre pensato che lei con le sue aspettative ponesse delle esigenze su come io avrei dovuto essere. È STATO VERAMENTE COSÌ? Non sono stata io invece a porre a me stessa delle richieste con la scusa che gli altri volevano che facessi così? Non sono stata io stessa a permetterlo? Dopo tutto quello che avevo sofferto, avrei dovuto imparare qualcosa infine. Qui, in questo bosco, non ci sono menzogne. In questo bosco la luce trapela attraverso il fogliame senza scuse e senza sotterfugi. PERCHÉ NON SIAMO CAPACI DI PORTARE QUESTA INTUIZIONE IN CITTÀ, NELLE NOSTRE CASE, FRA LA NOSTRA GENTE? Lo so, lo so, dovrò apprendere ancora molte cose, mi attende ancora un lungo cammino.
La strada è lunga, una buona parte è già stata percorsa, è ormai alle mie spalle, davanti a me si snoda ancora una via tortuosa che mi porta innanzi. Annoto pensieri ed avvenimenti, poiché voglio capire ciò che è stato, ciò che ho lasciato dietro di me, dove mi trovo ora e dove dovrei andare.
«La mente umana riesce ad accettare qualsiasi limite e ciò in qualsiasi luogo.» È stato sempre così! Fin dall’infanzia. La mamma infieriva per casa urlando cosa mai, per amor di Dio, avrebbero detto i vicini! Ascoltavo ciò che avrebbero detto della mia pettinatura, dei miei vestiti e dei miei amici. Chi mai vorrà sposarti? Nessuno! Urlava furibonda, se non avevo ancora riordinato la mia camera o se non avevo ancora lavato le stoviglie. Chi mai ti vorrà? continuava a ripetere, non rendendosi conto che con quelle parole aveva già determinato il mio destino. Chi mi aveva chiesto se volessi sposarmi, se veramente lo desiderassi? Mi sono mai posta io stessa questa domanda? No! In famiglia ci si aspettava che facessi così, era sottinteso che avrei scelto un buon marito. Ed effettivamente mi sono sposata giovane, sono diventata una giovane madre, come se avessi voluto passare da un giogo ad un altro. E di nuovo la famiglia si aspettava che sarei stata una moglie paziente, piena di abnegazione e ancor di più che sarei stata una madre votata al sacrificio. Cosa infatti avrebbe detto la gente se così non fosse stato? Se l’atmosfera a casa mia si surriscaldava, se i rapporti si incrinavano, sentivo dire: Abbi pazienza, vedrai che andrà meglio! Sopporta, sopporta, poiché altrimenti chissà cosa dirà la gente... E si tirava avanti, si tirava avanti la baracca, naturalmente
nella direzione opposta a quella che io desideravo, in contrasto con i miei sogni e con la mia visione
interiore della vita e della felicità. E venne il giorno in cui volli farla finita. Ero seduta sul davanzale, con l’intenzione di raccogliere le mie forze per scivolare giù, nel vuoto, perché quella vita non era più la mia... Apparteneva a tutti tranne che a me: ai miei vicini e ai miei parenti, ai conoscenti e agli estranei, a tutti tranne che a me. Mi avvolsero le tenebre, il buio oscurò la mia mente e i miei sentimenti a tal punto da farmi perdere la capacità di giudizio. Ero seduta sul davanzale, pronta a lasciarmi andare giù. Ma all’improvviso si udirono grida e un gran chiasso. Mi ripresi e scorsi in basso un gruppo di giovani spensierati che si davano allegramente spintoni e schiamazzavano nella notte come se avessero voluto esternare tutta la loro voglia di vivere e il loro entusiasmo. All’improvviso nella mia mente balenò un’idea: RENDITI INDIPENDENTE, FANCIULLA! Scesi dal davanzale e decisi che non sarei stata mai più sottomessa e ubbidiente.
«La farfalla non può dimostrare al bruco che anche lui potrebbe diventare farfalla, ma può destare in lui un tale desiderio: questo è possibile.» Quella sera decisi in modo irrevocabile di salvare la mia vita, di diventare caparbia e disobbediente; che i miei vicini e tutti gli altri dicessero pure quello che volevano, io alla fine sarei divenuta ciò che desideravo e volevo essere. Mi rifugiai nella mia tana e iniziai a leccarmi le ferite che si erano prodotte nel corso degli anni. Le leccai tutte ad una ad una, chiedendomi se la colpa di tutto non fosse soprattutto mia, avendo permesso che gli altri mi calpestassero, mi sottomettessero e mi ferissero di continuo, facendosene perfino un vanto. Promisi a me stessa che non avrei più tollerato le offese altrui. MAI PIÙ! E fra di me dissi: Che scorra via tutto ciò che si è accumulato negli anni e che l’esperienza del dolore sia per me un ammaestramento! C’era però un piccolo problema che mi rodeva l’anima: il problema della perdita. Si perde infatti con facilità solo trovando ed ecco qui il circolo vizioso che ci porta ad una via senza uscita: la perdita. Ed in tal caso non posso più legarmi a nessuno, non posso più innamorarmi di nessuno né permettergli di starmi accanto? E la vita senza amore, senza illusioni ha ancora un senso? Ed è possibile un amore senza dipendenza, senza possesso, un amore altruista che non rende schiavi, un amore libero? È possibile un amore che si dona senza chiedere ricompensa? È possibile, però senza attese. È una luce che ti inonda l’anima... Ti illumina come il primo sole mattutino che a mezzogiorno arde con tutta la sua forza e tutto il suo splendore.
«Il ribelle ci esorta ad avere il coraggio di assumerci la responsabilità di essere quello che siamo e di vivere secondo la nostra verità. » E la fanciulla, diventando autosufficiente, cessò di leccarsi le ferite e iniziò a vivere. La corda avvolta attorno al suo collo, con la pesante pietra, cominciò pian piano ad allentarsi e, senza che lei sapesse quando, ad un certo punto del suo cammino, la pietra scivolò a terra rotolando via lontano. Il mondo cominciò a rivelarsi ed a mostrarsi sotto un aspetto del tutto nuovo. Le tinte di tonalità grigia acquistarono lentamente vigore, i prati presero a verdeggiare, i boschi diventarono di un verde argenteo, le acque si misero ad ondeggiare. Il mondo incominciò ad esalare il profumo della vita, della libertà e della salvezza. Divenne forte e determinata nel suo intimo, simile ad una pietra che non si poteva gettare via e alla quale non si poteva dare un calcio senza ferirsi. Se ne rendeva conto, pur serbando intatta dentro di sé la sua vera essenza, fatta di tenerezza per la quale valeva la pena di vivere. La nascose tuttavia proprio in fondo in fondo all’anima, sotto un’apparenza diversa, così che era difficile da raggiungere e da riconoscere; alla fine si sentì AL SICURO. Conservò tutto ciò che era valido nelle profondità del suo essere, per il mondo esterno invece assunse la maschera dell’irremovibilità. La vita divenne più facile e più sopportabile: le cose intanto nascevano, si formavano e maturavano. Ora non era più docile e vulnerabile e gli altri presero a comportarsi con lei in modo differente. Erano più prudenti e non osavano più prendersi gioco di lei. Tutto ciò le fece piacere e divenne la sua sicurezza e la sua forza. Sì, ora dominava gli eventi. Non era più soltanto una giovane donna abbandonata e divorziata, che può essere girata e rigirata a piacere. Era ormai una donna risoluta, forte, pronta, se fosse stato necessario, ad estrarre la spada per difendere il suo focolare. ERA DIVENTATA UNA VERA COMBATTENTE!
«Quando l’amore non è solo desiderio di un’altra persona, quando l’amore non è solo bisogno, quando l’amore è condividere l’amore con un altro, quando l’amore non è un mendicante ma un sovrano, quando l’amore non chiede alcuna ricompensa, ma è pronto solo a dare... » Le faceva piacere soprattutto la sensazione di sicurezza, di fermezza e di forza interiore. Ma c’era qualcosa in lei che giaceva nascosta in fondo all’animo e che la inquietava di continuo: e dov’era la SPERANZA, dove il desiderio di felicità, e dove l’AMORE? Non doveva pensarci, se il suo pensiero si fosse soffermato su tutto ciò, avrebbe perso la battaglia. E veramente non pensò più a quello che provocava solo dolore alla sua anima e la rendeva vulnerabile. La sera però, quando tutto attorno a lei si quietava, quando la notte diventava più fonda e la gente spegneva le luci, lei si sedeva in poltrona e sotto una luce fioca ascoltava Mahler. Allora si affacciava alla sua mente una quantità di domande, di desideri, di sogni, che prendeva vita e consistenza e lei si rendeva conto che nella loro inattuabilità consisteva la perdita; ma quello era il sacrificio che doveva fare per diventare forte. Doveva sacrificare tutto ciò pur sapendo che era LA SOLA COSA per la quale VERAMENTE valesse la pena di vivere e la sola cosa che giustificasse la sua presenza sulla terra. Ora non c’erano più paure, tormenti e umiliazioni, c’era invece una diversa realtà, dura e spietata. Congiunse le mani, le congiunse istintivamente e chiese a LUI se veramente non ci fosse un’altra possibilità. Era veramente necessario sacrificare una parte di se stessi per raggiungere la propria affermazione? Non era forse troppo grande tale sacrificio?
«L’isolamento è assenza dell’altro. La solitudine è presenza di se stessi.» Me ne sto seduta nel bosco in riva ad un ruscello e penso alla mamma. Non è più qui, ma l’eco delle sue parole risuona nelle mie orecchie. Sul suo letto, prima di andarsene, mi confidò la sua ultima pena. Cosa poteva ancora preoccuparla al momento dell’addio da questo mondo? Aveva fatto tutto, aveva pulito tutto con gran cura, ma c’era ancora qualcosa... Mi chinai sopra la sua testa e le presi la mano. Con voce stanca e grave mi sussurrò: SEI SOLA, SEI SOLA ED IO ME NE STO ANDANDO! COSA NE SARÀ DI TE, BAMBINA MIA, SONO TANTO PREOCCUPATA! Per lei ero ancora una bambina e lo sarei stata anche quando avrei avuto ottant’anni. Poverina, non riusciva nemmeno a morire in pace, perché era in pena per me, perché temeva per la mia solitudine, aveva paura perché io sarei rimasta sola in questo mondo. Se avesse saputo a che prezzo mi ero guadagnata la mia SOLITUDINE, se avesse saputo che non ero disposta a sacrificarla mai e per nulla al mondo, sarebbe morta forse più facilmente. Non sapevo cosa risponderle per non inquietarla e ferirla. Dissi qualcosa di molto banale e non riesco a perdonarmelo. Le dissi: MAMMA, GUARDA CHE POSSO RISPOSARMI, SE VUOI... Posso sposarmi già domani e non sarò più sola... Le presi la mano stringendola forte forte e continuai a mentire, mentre lei mi fissava... MAMMA, DOPO TUTTO CE L’HO FATTA E SONO RIUSCITA A CONCLUDERE QUALCOSA! Che parole sciocche! Avrei potuto dirle quante cose avevo dovuto sacrificare: le mie speranze, la fede nella felicità e nell’amore, e i miei sogni... Mi sfuggì invece qualcosa di molto stupido, di molto insignificante.
«Al principio c’è la natura, alla fine c’è la natura, perché allora fare tanto chiasso in mezzo?» Siedo in mezzo a questo bosco dove tutto germoglia, dove il mio successo è del tutto senza importanza, dove dimorano il tremolìo delle foglie, la bellezza del ruscello e la speranza nella crescita... Ho espresso quella frase secondo il modello: PERCHÉ LEI SI ASPETTAVA QUESTO DA ME!
Ha veramente sperato questo o forse desiderava che almeno una volta io le dicessi ciò che realmente volevo, sentivo e pensavo? Ho tradito la sua fiducia anche in quell’ultima occasione in cui avrei potuto finalmente dire quello che pensavo e sentivo? Certo, ho avuto successo, ho avuto successo in altri modi: nell’accettare me stessa e il mondo, nell’accettare la libertà che è fatta anche di solitudine, che è talvolta bella, talvolta pesante e triste. E ci sono riuscita! Ho rinunciato ai sogni e ho trovato in me la pace. E questo è un grande successo, del quale mi rendo conto ora e per il quale ho dovuto lottare tutta la vita. Lei però non verrà mai a saperlo, poiché io non gliel’ho confidato. Ho sempre pensato che lei con le sue aspettative ponesse delle esigenze su come io avrei dovuto essere. È STATO VERAMENTE COSÌ? Non sono stata io invece a porre a me stessa delle richieste con la scusa che gli altri volevano che facessi così? Non sono stata io stessa a permetterlo? Dopo tutto quello che avevo sofferto, avrei dovuto imparare qualcosa infine. Qui, in questo bosco, non ci sono menzogne. In questo bosco la luce trapela attraverso il fogliame senza scuse e senza sotterfugi. PERCHÉ NON SIAMO CAPACI DI PORTARE QUESTA INTUIZIONE IN CITTÀ, NELLE NOSTRE CASE, FRA LA NOSTRA GENTE? Lo so, lo so, dovrò apprendere ancora molte cose, mi attende ancora un lungo cammino.