Il mare tra tutte le ebbrezze
è la più inebriante.
È il ritmo dell’esistenza e il silenzio dell’immenso,
indicibile presagio, sognante anelito,
estasiante visione.
È il sospiro della terra che agogna il cielo,
mostro e bellezza,
nascosti dietro le maschere dei documenti pietrificati
del nostro breve cammino.
SCRITTURE NELLA SABBIA
Bevo il tuo profumo; in un’ora benedetta, mentre
cala la sera – l’ambrosia che cola dai tuoi gesti,
lontano dalla mia inquietudine.
Bacio l’apertura delle tue cosce, più larga del mio golfo,
tiro dolcemente le calze, arrotolandole giù giù, più in basso
delle ginocchia – cieco e sordo, colgo dai peluzzi parole di passione.
Assorta nell’immensità dello specchio, sei qui, accanto a me,
il sale della mia pelle rovente eccita la seta del copriletto
- regno di un linguaggio nodoso, di una danza
che abbiamo scatenato al di là del tempo.
La sabbia – qua vicino a me, è segnata dalla nostra scrittura,
l’incavo del mio corpo – una barca che scivola solitaria
in questo chiarore notturno.Volgi lo sguardo al cielo, getta
la cima, la barchetta sta urtando contro il tuo molo.
LE PAROLE
Le parole sono case, periferie e il chiassoso centro.
Sono esseri vuoti con il loro ritmo,
respirano, sono piene di forza e impotenti.
Come un fiore di loto è il libro con le sue
mille pagine, come un fiore che
ha la sua fine e il principio,
la sua passione e il giudizio.
Ognuno di noi scrive il libro della propria esistenza,
chi mai può sapere quando verrà scritta l’ultima pagina.
* * *
Il lago è l’occhio di un dio pagano
sommerso dal silenzio in questa stagione?
Eppure questa stagione ha il suo linguaggio,
i suoi dizionari, i suoi messaggi.
Sembra che il giorno dia la parola alla notte
e la notte l’eternità al giorno.
L’occhio guarda fuori, dentro o
nelle profondità del nostro intimo?
IL CORRIDORE STELLARE
Maratoneta tra i millenni.
Ho perso il nome e tutte le parole.
Eterno corridore che uccide i serpenti con gli sguardi
e crea con ogni gesto mille storie,
atleta che lancia il giorno nella notte.
E dà forza acciocché il vento dorma con l’onda.
Corro lungo le armonie della preesistenza,
attraverso terribili atlanti, madidi di sangue.
Mi guida e vigila un enorme occhio
che è giunto in me a tastoni ma ansante
fino al flusso dell’ara.
Soltanto come il chiaro di luna corro attraverso me stesso
e il mondo è una sottile orma nella costellazione di Orione.
Dalla raccolta KRETA (Creta), Aleph, Ljubljana 1998
LUCI DI IRAKLION
Numi, da dove provengono le donne?
Chi troverà il cammino dalla radice al fiore?
Come accetterò la mia nascita? Tutto questo mondo splendido
che già dal primo istante sottrae e incomincia a morire.
Con chi condividerò la tristezza e le ansie del corpo,
tutti gli spettacoli e le ebbrezze della sera?
Sono d’oro? Sono un amuleto al guinzaglio che dolcemente
urta contro un seno, un petalo di rosa e il suo profumo;
annusami, affinché m’immerga lesto nei godimenti notturni,
nel fermento, nella lucentezza del plancton – ti sento, quando
esci nuda dall’oceano in una notte col chiaro di luna!?
La scura nave chiama – in lontananza lo splendore di Iraklion -
sul ponte una traccia di sangue,
quando ti lascio dal mio abbraccio.
L’ERMAFRODITA DEL PIREO
Sacralità del Mediterraneo. In momenti eccezionali ti sprofondi
in te stesso. Nuotando energicamente ti calmi. Dio ti butta la chiave del Nulla.
Entri nelle leggende. Fai parte del casting divino. Sei una sfinge. Un filosofo
o un matematico. Una tomba o una maschera d’oro. Un’anguria o un vulcano.
Capisci la lingua morta. I verbi dell’assassinio, dell’incesto e dell’astrologia.
Viaggi nelle crepe dei millenni – eppure tutto è hic et nunc.
Le loro voci e le tue orecchie.
Lo scorgi allora. In un cinema infimo al Pireo. Arde senza fiamma
come una falena e dorme sveglio. Frustato dagli sguardi del suo io diviso.
Essere primordiale venerato come una divinità.
Una specie di angelo caduto in jeans. Prodotto dalla trasparente spuma
del mare sopra l’Atlantide. Diabolico, ma sterile. Creatura delle tenebre,
partorito dai terremoti e dalla peste.
Sono alla fonte del peccato originale. Al punto d’incrocio dei princìpi. L’essere
mi sopravvivrà – io sono l’ultimo della mia specie.
Cado nella danza con la gravità. In pantaloni scamosciati e tra grida senza eco.
Non ho l’ombra... !
TANGO
Ci sfioreremo solo con le lingue.
Cercando l’orlo del sorriso. Ci farà male la vicinanza dei corpi.
Noi due siamo il vento. Grazie a noi nascono i pianeti.
Il ritmo selvaggio dell’amore, della vendetta, della morte.
Finiremo di danzare sulle copertine dei libri di poesia,
guizzeremo sulle cartoline illustrate,
apriremo album di astrologia.
Ci toccheremo solo con le lingue.
Dormiremo durante la veglia, ossessionati dalla rotazione,
smangeremo grandi montagne con l’impetuosa corrente
delle nostre lingue, riflettendo nascite e morti,
faremo vorticare i secoli con audacia, quasi con violenza.
Snella e muta, con occhi che brillano
dalla precisione dei movimenti; con quel silenzio che dice tutto.
Nel canto che è il Tango.
Sostanza di esperienze e di voluttà.
Il destino che sentiamo sulle lingue.
Intessuto di dolcezza. Di atavica soavità,
alla quale ci abbandoniamo solo con le lingue.
I SANDALI
Sono giunti dalle sacre scritture.
Stanchi dal lungo cammino si sono sdraiati accanto alla mia testa.
Avete visto mai un vecchio cane o marinaio al ritorno dal viaggio?
Li ho colmati di sogni, li ho sfiorati delicatamente.
Tremante - come un bambino il regalo natalizio.
Viso stanco, bocca senza lingua. Braccia senza ossa.
Spezzato l’albero maestro, logore le vele.
Là dove una stringa di pelle allaccia il tarso – una traccia di sangue.
I miei sandali hanno gli occhi azzurri.
Come il vecchio che giace davanti alla cattedrale,
spossato di viaggi stellari.
Bruciacchiati da numerose collisioni – dietro di loro
la scia di una cometa.
Un paio – ma un’unità.
Come una fiamma che dall’altare sale verso il cielo.
Tutto il sangue del pianeta.
Come un’impronta che il creatore nella sua folle fuga
abbia dimenticato nella mia anima.
Ora so – non devo indossarli!
UN MUSETTO NEL SANGUE
Nascita di una poesia. La battezzo con un grande fiume di luce.
Il suo delta si ramifica tra la fronte e il fallo. Solennità
in paramenti d’oro. Il suo palpito scuote i libri sacri. Il suo volto
si sposta di continuo, ma non si gira. Forse lo fa con pazzesca ed
irriducibile velocità che tra lo stridìo della rotazione neanche me ne accorgo.
Gli dei la avvertono. La mandano su costellazioni sconosciute perché impari a camminare.
Quando ritorna trafelata a un’ora che ignoriamo, la intrufolano nei sogni di qualche donna
affinché si metta a contare le sue vertebre e a tastare la sua calda coda. A leccare
minuziosamente il suo cuore di granito ed a sistemare il sestante.
Il suo nome di battesimo mugghia negli oceani, nei travolgenti vortici di luce.
Si è fatta grande ed eterna. Peccato e confessione. Qui ed ora. Quando la
sfioreranno occhi prescelti, mi inonderà una luce solitaria.
Il suo flusso di materia trafiggerà il vuoto.
Qui siamo tutti.
Inginocchiamoci. Noi siamo la verità, il ricordo vive.
Chiniamo il capo, lievemente e in silenzio, come un feto.
LA BOTTIGLIA
Nella mia bottiglia non c’è messaggio, non ha neanche il fondo,
e il suo colore è cangiante, dipende dall’invenzione
che risveglia le ossa stanche,
e così prendo un lembo di cielo – quello con la luna piena.
Dalla terra verso il cielo
con la liscia fune dei desideri, dove la mano
scatta in un abile gesto – dal meridione
mi bagna beatamente.un acquazzone.
Ascolto l’oceano, bacio le mammelle celesti.
Divento un falco, la libertà spiega le ali,
nelle iridi la via non tracciata sulla carta geografica.
Bevo la solitudine,
il sangue pesante e i testicoli pieni, sono
in preda a delirante frenesia – ma tu non ci sei.
Sulla mia bottiglia un affresco – tu ad una svolta, sul far della sera
e ammantata di eccitazione – lo raschio via fino in fondo senza il fondo.
Notizia minima
Il pittore, poeta, drammaturgo e letterato sloveno Matjaž Kocbek è nato a Ljubljana nel 1946. Laureato in letteratura mondiale e teoria letteraria comparata. Vive e lavora a Ljubljana. Oltre a dedicarsi intensamente alla letteratura, si occupa anche con successo di pittura e per sostentamento di comunicazione di mercato. Finora ha pubblicato nove raccolte di poesia: V, 1972; Opalni rob (L’orlo di opale), 1980; Dišeče predivo (Lino greggio profumato), 1981; Maneža (Maneggio), 1987; Konjušnica v srcu (Scuderia nel cuore), 1988; Ars amandi, 1992; Dvojček (Il gemello), 1996; Kreta (Creta), 1998 e Sunek s sulico (Un colpo di lancia), 1999. Opere di teatro: Smrt po smrti po Bogu (La morte dopo la morte dopo Dio), 1973 e Dan zaklan (Il giorno sgozzato), 1974. Le poesie tradotte sono state prese dalle raccolte Ars amandi e Creta.